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I Luoghi nelle favole

 

La favola è il nostro primo e vero approccio con il mondo: il primo distacco da nostra madre, avviene proprio attraverso una favola, magari da lei stessa raccontata. Ma cos’è per davvero una favola?Il termine italiano «favola» deriva dal termine latino "fabula", derivante a sua volta dal verbo "for, faris, fatus sum, fari" = dire, raccontare. Il termine latino «fabula» indicava, in origine, una narrazione di fatti inventati, spesso di natura leggendaria e/o mitica. La favola ha inoltre la stessa etimologia della "fiaba" (entrambe da «fabula»). Sebbene favole e fiabe abbiano molti punti di contatto, oltre alla comune etimologia, i due generi letterari sono diversi:i personaggi e gli ambienti delle fiabe (orchi, fate, folletti, ecc.) sono fantastici, mentre quelli delle favole (animali con il linguaggio, i comportamenti e i difetti degli uomini) sono realistici;la favola è accompagnata da una "morale", ossia un insegnamento relativo a un principio etico o un comportamento, che spesso è formulato esplicitamente alla fine della narrazione (anche in forma di proverbio); la morale nelle fiabe in genere è sottintesa e non centrale ai fini della narrazione.La favola può essere in prosa o in versi. Dal punto di vista della struttura letteraria, la favola presenta elementi di somiglianza con la parabola, nella quale tuttavia non compaiono animali antropomorfici o esseri inanimati.[1]Il bambino, dai due anni in su, è praticamente una spugna, ma oltre a quello che gli si legge è fondamentale come lo si legge, quindi la cosiddetta narrazione, l’effettivo atto del narrare, che assume dei connotati fondamentali e che avvicinano ancor di più il bambino alla storia ed al narratore. Se ad esempio la favola riporta una situazione di gioia, l’interlocutore, cercherà maggiormente di enfatizzare questa cosa attraverso un modo di esprimersi gioioso ed attraverso il linguaggio del corpo (un corpo gioioso si muove molto, gesticola, quasi salta. Di contro uno triste è fermo, quasi piegato su sé stesso). Inoltre, questo coinvolgimento, questa complicità che si instaura, aiuta maggiormente l’interlocutore a far comprendere l’insieme di regole ed eventuale morale, che ruota intorno alla storia.In tale progetto, abbiamo voluto aggiungere qualcosa che in un certo senso aiutasse a sensibilizzare i bambini e non solo, per quanto riguarda alcune tematiche. I luoghi. E allora il mare che spinge ad una morale ecologista, il bosco che spinge verso una visione diversa della vita, il castello come metafora del regno della verità, il cuore come scrigno dei nostri sogni o come l’orto, come contenitore di elementi fondamentali per la nostra crescita. Gli esseri umani hanno una caratteristica fondamentale: l’unicità. Ognuno ha una sua traiettoria, che dovrebbe sempre seguire, ognuno vede il mondo per quello che è, ognuno agisce per quelle che sono le sue percezioni. Ognuno si “adagerà” e si “dirigerà” verso il suo luogo.Ultimo aspetto, non meno importante degli altri è soprattutto il luogo dove le favole vengono narrate. In genere i nostri genitori, ci hanno raccontato le favole a letto, un posto comodo tranquillo e che ci facesse sentire sicuri. Bisogna fare il possibile, affinché i bambini, stiano almeno comodi, magari portandosi da casa un cuscino, un proprio peluche, una copertina.Sottolineiamo che l’intento sostanziale di tale progetto, non è certo quello di sostituire eventuale metodo adottato dagli educatori, ma è sicuramente quello di cercare di costruire un’attività che affiancasse quelle scolastiche e potesse incoraggiare le opportunità di socializzazione nel gruppo, destinando uno strumento grazie il quale i singoli bambini potessero consolidare la capacità di esprimersi.

Audio Favola
Orto incantato
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Novelle gucciniane. Vol. II

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La prima cosa che mi viene in mente, leggendo il secondo volume delle Novelle gucciniane di Cristian Liberti, è ciò che Hans-George Gadamer ha chiamato la fusione degli orizzonti: “[…] l’orizzonte proprio dell’interprete - scrive Gadamer - si rivela determinante, ma anche qui non come un punto di vista rigido che si voglia imporre, ma piuttosto come un’opinione e una possibilità che si mette in gioco e che in tal modo aiuta ad impadronirsi veramente di ciò che nel testo è detto. Abbiamo chiamato questo processo la fusione di orizzonti. Ora siamo in grado di riconoscere in essa la forma propria del dialogo, nel quale viene a espressione un «oggetto» che non è mio o dell’autore, ma qualcosa di comune che ci unisce”.
La scrittura di Liberti, nella sua interpretazione dei testi delle canzoni di Francesco Guccini, diviene un’ipotesi creativa di lettura, prim’ancora che di scrittura, che si arricchisce del testo su cui riflette, e lo arricchisce in uno scambio continuo e speculare, del resto come ha scritto John Ashbery: “Le parole sono solo speculazioni / (dal latino speculum, specchio): / cercano senza poterlo tro-vare il senso della musica”.
I racconti di queste Novelle, volume primo compreso, diventano, allora, un esempio di ermeneutica. Già il romanzo “Qui staremo benissimo”, che riprendeva creativamente la lettura di Tito Livio, era un’avventura del pensiero, per dirla col mio caro e incorreggibile Edoardo Bruno; un percorso poetico e filosofico, nel tentativo di dar voce a un sentimento, a un’emozione, che in questi racconti trova un meraviglioso riscontro in quelle metafore “esistenziali” che coinvolgo-no finanche gli elementi naturali: la pigrizia della nebbia, l’irrequietezza del cielo, l’angoscia del vento.
Le Novelle libertiane sono come quella cornice che serve al suo scrittore per definire quella che abbiamo qui chiamato un’avventura del pensiero; incorniciare un’esperienza, una percezione, un ricordo, un moto dell’animo, per definirli difronte trascorrere indefinito della vita, perché come ha scritto Maurice Merleau-Ponty: “L’occhio vede il mondo, ciò che manca al mondo per essere quadro, e ciò che manca al quadro per essere se stesso”. (Michele Moccia)

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Novelle gucciniane. Vol. I

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Diciamoci la verità, quelle del cantautore (sostantivo limitativo) non sono mai state solo canzoni: vere e proprie storie, racconti, immagini, pensieri che spargevano sapere, ed in alcuni casi, aprivano alla cultura. Anche fatti di cronaca da lui sapientemente trattati, sono diventati sotto la sua penna, un genere letterario, che racconta, quasi minuto per minuto, l’evento in questione.
Francesco è stato sempre Guccini, anche nelle sue metamorfosi ha portato con sé la sua parte modificata e l’ha resa funzionale per il passaggio successivo: da cantante ad attore, da sceneggiatore di fumenti a cantautore, da professore a scrittore. E non tradendo mai, soprattutto la sua immagine. Della quale ognuno può avere la propria percezione, ma restava e resta sempre la stessa, come il faccione con la barba che ci annunciava un suo concerto. Una volta in uno di questi mi sono preso anche una strigliata (A sedere!) insieme ad un migliaio di partecipanti.
Ma tornando al maestro, è proprio da una delle canzoni del disco Bovary (delle quali tutte potrebbero diventare un romanzo, anzi che piccole mie novelle) che ho cominciato questo mio esperimento, divenuto poi in corso d’opera, quasi una necessità. La canzone in questione è Keaton.
Scritta con Claudio Lolli, che inizialmente aveva creato un particolare album tematico proprio sul cinema, insieme ad altre canzoni, è una sovrapposizione di parole ed immagini che aprono la mente, oltre che il cuore. E poi, a mio parere, ci voleva proprio Keaton: un personaggio muto per cominciare a scrivere. Un personaggio muto per cominciare a raccontare. Insomma un personaggio, molto gucciniano.
Le novelle continuano con la Canzone per Silvia (Baraldini), persona nota per le sue vicende oltreoceano, per continuare con una persona, ai più, meno nota Mario Pieraccini, ma da tutti meglio conosciuta come “Al Fra”, ovvero il frate. E poi ancora Ritratti, con le parentesi di Cristoforo Colombo, Piazza Alimonda e la storia di Carlo Giuliani, Antenor con la suggestione della steppa patagonica, Primavera di Praga con l’eroe Jan Palach, Canzone per Piero con il racconto di un’amicizia nel tempo, Su in collina con ragazzi giovani che hanno dato la vita per la democrazia, Samantha ed il suo giovane è sfuggente amore di periferia ed infine Stefania e la sua città, appoggiata sul mare.
Insomma tutti i personaggi che Francesco Guccini ci ha fatto conoscere, a modo suo, tracciando sullo sfondo i loro luoghi, dove si muovevano: l’America, Milano, Praga, Genova, Venezia, l’Argentina, gli appennini tosco – emiliani.

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I fiori di Sofia

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Una volta mi hanno raccontato una storia tremendamente vera: la storia di Sofia.

Una donna meravigliosa che amava la vita, suo figlio ed i fiori. È inutile che provi a descrivervi l’eventuale ordine. I veri amori sono in sintonia, senza nessuna classifica da scalare. Non hanno bisogno di essere messi in una probabile posizione

Forse il tempo può darci una percezione diversa dell’intensità dell’amore che si può provare per questo o per quello, ma credo che questa, sia una cosa che debba succedere, naturalmente. Così come credo che certi amori, naturalmente, debbano affievolirsi, altrimenti quello che nasce come una passione intensa, può portarci alla pazzia.

Vi chiedo di non pensare che sia la solita storia di una donna forte che si batte contro le avversità della vita. Questa è la storia di una donna debole, che ha saputo godere di quelle fortune che durante la vita, ci sfiorano ed attraversano la nostra esistenza. Gli eroi non sono mai esistiti, se non nelle leggende e nelle chiacchiere delle persone. Non posso dirvi oltre, anche perché la sintesi è totalmente in contrasto con il concetto d’amore: ci vuole sempre dedizione ed intensità.

Spero che le mie parole diano almeno un po’ di giustizia, alla sua esistenza.

Una volta mi hanno raccontato una storia tremendamente vera: la storia di Sofia.

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Qui staremo benissimo

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Una vertigine temporale, un ritorno al futuro dove l’interpretazione è l’unica logica di una storia quasi onirica. “Qui staremo benissimo” (frase attribuita allo storico Tito Livio: “Hic manebimus optime”) è un romanzo multitemporale dove i protagonisti sembrano avere un unico obiettivo: la ricerca. Della verità, del successo, della felicità, della vita. Non si tratta di un romanzo storico e lo stesso Tito Livio, che dialoga con il suo liberto, Pallante, non è altro che un personaggio inventato da Cristian Liberti. Il suo personaggio, il suo Tito Livio.
Essendo un romanzo multitemporale c’è anche una storia ad un tempo diverso, ai giorni nostri: quella di Carlo, giornalista precario di una piccola rivista, alla ricerca di un senso da dare alla sua vita, ed Eleonora, la sua fidanzata, fotoreporter, alla ricerca del successo professionale. La storia è affascinante e avvincente e lascia scivolare facilmente il lettore tra le pagine del libro, accompagnandolo nei vari salti temporali tra il famoso storico e i due giovani. Ma c’è altro: ricerca storica per la cura dei dettagli, dialoghi intenti ad aiutare lo svolgimento della narrazione, idee e concetti esposti sempre in una forma positiva e propositiva, plot e sub-plot sviluppati con ispirazione quasi petriana. Tutto sin dall’inizio dell’opera e senza prestare il fianco alla dietrologia che, in alcuni punti, potrebbe forzare il testo. Il punto d’incontro o meglio d’ingresso, tra la storia di Tito Livio, quella dei giovani e di tutti gli altri personaggi, è la famosa opera dello storico patavino: “Ab urbe condita libri”. Ognuno cercherà la propria interpretazione, intesa come possibilità di poter scegliere, intesa come libertà.

 

Il bacio non dato

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La storia è ambientata in una vecchia biblioteca del centro della fine del secolo scorso, dove all’inizio riscopriamo dei strani personaggi intenti a lavorare ad un progetto di scrivere un libro. 
La biblioteca è di proprietà del Signor Fola, un vecchio burbero che si fa aiutare da un giovane ragazzo, da poco laureato, con un sogno di voler scrivere, anche lui un libro. Ogni mattina, quando Cary, questo il nome del ragazzo, si reca in biblioteca, oltre a scrivere, aspetta con impazienza la sua amica Sally. In realtà Cary prova qualcosa per Sally, ma ella è fidanzata con Mark, un giovane ed aitante ragazzo di provincia che lavora per la Link e Buffy. Ed è proprio quest’ultima, la società che vorrebbe mettere le mani sullo stabile della biblioteca per farci un centro di smistamento dei dati internet, raccolti in tutta la città. Sarà però proprio il signor Fola a confidare a Cary che per il signor Link, la biblioteca non rappresenta solo un piano strategico, economico, ma anche la soddisfazione di distruggerlo: molti anni prima infatti erano soci in affari e quando cominciò a diffondersi internet, il signor Link, ne fu subito rapito, mentre il signor Fola volle continuare con il lavoro di bibliotecario. Da allora si divisero con la promessa, da parte del signor Link, di distruggere il suo, ormai, ex socio. 
Intanto i personaggi misteriosi si presentano a Cary e ….. 

Inalberi scritti. D'amore

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Nei racconti d’amore degli Inalberi Scritti non cercate il lieto fine. Non troverete la fine.
D’altronde, si parla d’amore.
Sono consentite percezioni divergenti dello stesso oggetto. Si sollecitano domande più che dare risposte. Scoprirete la poesia nella prosa e la prosa nella poesia. Come si può, diversamente, dipingere di bianco il bianco e di nero il nero? Ciascuno ha bisogno dell’altro per rivelarsi.
Aristofane, nel Simposio, è al desiderio e alla caccia dell’intero che da il nome d’amore. In origine ogni persona, rotonda, con doppia faccia su una sola testa e membra doppie, si aggirava talmente forte nella propria completezza da risultare temibile persino agli dei. Zeus, per indebolirla la divise in due, e da allora ciascuna parte cerca l’altra metà. Ma l’amore è, quindi, il desiderio di restaurare l’antica natura di due esseri perfetti solo insieme, o è soprattutto la ricerca affannosa di ricostituire la propria individualità? L’affannosa ricerca è amore per ciò che riconosciamo o inseguimento di ciò che non avremo mai del tutto e mai per sempre?
E’ vero amore, scrive Cristian Liberti, tutto quello che percepiamo come tale. Fino ad arrivare ad un paradosso: “Io potevo chiederle di tutto, ma l’unica cosa che volevo, ad un certo punto e cioè stare da solo, lei non poteva darmelo” D’altronde, si parla d’amore.
“E’ bello scrivere”- dichiarava Pavese – “perché riunisce due gioie. Parlare da solo e parlare ad una folla”.

La vita a volte è un'equazione

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La vita a volte è un’equazione, dove non sempre si intersecano gli assi della ragione, ma spesso si tende all’infinito” così Mara parla a Rocco….
La vita a volte è un’equazione è il primo romanzo di Cristian Liberti edito dal Gruppo Edicom, che racconta la storia di cinque ragazzi che pensano solo a divertirsi e a spassarsela sino a quando, un giorno, uno di loro muore. Ognuno cercherà di prendere la propria strada e tutti cercheranno di realizzare le proprie aspettative, ma ciò che si porteranno dietro è il vuoto della loro “sopravvivenza”
Quotidianità, sogni, realtà e percezioni giovanili: uno spaccato provinciale, quello proposto da Liberti, che esalta i piccoli problemi giovanili in contrapposizione alle parentesi esistenziali

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