
L’amore come deplorevole compassione (PDF)
Ricordo ancora quando conobbi Alena. Il suo volto pallido, ma inzaccherato di tante imperfezioni della pelle e i suoi capelli sottili, ridotti tali forse dall’eccessivo trattamento di colore, non riuscivano ad essere domi.
Non so perché continuavo a fissare quel corpo esile e quasi repellente, ma ne ero piacevolmente incuriosito.
Quella camicetta bianca e stretta risaltava quegli esigui seni, quasi come quelli di una giovane adolescente, portati con freschezza e disinvoltura solo con quella indumento. Un paio di pantaloni grossi e larghi rendevano impercettibili la misura delle sue forme quasi a voler nascondere degli arti senili e degli scarponi messi quasi per caso sembravano un basamento di tenuta.
“Buongiorno signore biglietto per favore”.
Sopraggiunse il controllore e quei suoi gesti che mi distrassero, dopo un po' di tempo, dalla visione di Alena, mi fecero riflettere. La nostra vita è come un viaggio in treno che affrontiamo sempre da soli. Di tanto in tanto sale qualche viaggiatore che ci illudiamo sia il nostro compagno di viaggio o il nostro gradito interlocutore, ma ben presto ci renderemo conto che alla prossima stazione, dove il destino ha tracciato il suo arrivo, ci lascerà anche se a volte con tristezza . E resteremo lì da soli ad aspettare tra il riflesso del sole sui vetri impolverati e i rumori quasi snervanti del treno, della vita che sopraggiunga qualche altro viaggiatore, o forse il controllore, come quelle figure strane e bizzarre quasi sbiadite e che forse non vedremo mai più, ma che possono segnare, obliterare, la nostra vita con un piccolo gesto, con qualche azione.
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Il bacio con la finestra – E. Munch
E lui, con il suo gesto ignaro, solo per dovere stava segnando la mia vita.
“Signorina le ho assicurato che se non mi favorisce il biglietto sono costretto a farle la multa”
Lei continuava a frugare in tutte le tasche che si trovava sugli indumenti e di tanto in tanto dava una grattata alla sua testa, ma era palese la sua arditezza a quella situazione. E forse fu proprio quell'atteggiamento che fece innervosire il controllore e quindi decisi di intervenire.
“Mi perdoni se mi spiega qual è il problema forse posso essere utile”.
“Problemi nessuno signore e che la signorina non ha fatto il biglietto, quindi o paga la penale o scende chiamo la polizia”.
In quel momento balzando come una cavalletta sui sedili cominciò ad urlare
“Lurido maiale imbottito io il biglietto l'ho fatto è che adesso non lo trovo Ma per chi mi hai preso? Io mica sono un servo come te?
“Si sbaglia signorina a questo punto la mia non è né un’ingiunzione, né un'incombenza, è un fatto personale. La prossima stazione chiamiamo la polizia”. Ma lei continuava a dileggiarlo come una bambina:
“Paula, che paula, ho tanta paula”.
Che amorevole sensazione che strane emozioni. L'essere sempre arginato, dominato, circoscritto, quasi costipato mi dava un senso di liberazione nel vederla reagire in quel modo insolente tanto di avere la voglia di alzare i pugni e gridare: dai Alena continua così.
La mia era una sana e robusta vita di provincia fatta di organizzazione e precisione, dove gli unici eccessi erano le lunghe cene a base di carne e vino abbondante e le perversioni sessuali davanti ad un film porno. Che bello vedere quella reazione forte e decisa, tale da riempire intensivamente una vita intera. Una vita che per me fino ad allora era stata dedica alla rettitudine, come quei bravi e patetici automobilistici, che con la macchina nuova di zecca, escono la domenica mattina e l’unico eccesso che si concedono è uno sguardo irriverente, quanto mancante, ad una bella ragazza di passaggio.
Avrei voluto, in quel momento, rinascere, essere come lei, cercare di tirare sempre fuori i miei stati d'animo, le mie irrequietezze, anche perché solo così facendo riesci a tirare fuori le gioie della vita. Avrei voluto, ma inesorabilmente non potevo perché io ero di un'altra pasta. Sara maledetto colui che si renderà conto di non poter mai affrontare un viaggio, o perché gli mancano i mezzi, o perché ha paura di un porto non consono alle sue navi. Chiamai in disparte il controllore, tirandolo con dolcezza ed attenzione verso di me.
“La prego, la scusi, se mi dice quant'è il prezzo del biglietto, pago io”.
Ma ci volle molto della mia calma e molto della mia determinazione per convincere, innanzitutto il professionista a chiudere un occhio e l'uomo a non pensare più a quelle insolenza, nonostante Alena continuava a fargli delle dolci boccacce.
“Sentiamo perché ti sei voluto ergere a salvatore della patria? Pensi di aver fatto la tua buona azione quotidiana? Nessuno ti aveva chiesto nulla”. E mentre mi diceva ciò annodava intorno al polpaccio quelle lunghe stringhe consunte.
Io non riuscivo a risponderla. Era troppo bello starmene lì, senza il mio solito vigore maschile, a guardarla ed ascoltare la sua voce, penetrante ed indomita, così come sicuramente il suo carattere. Anche lei smise di parlare, ma non mi rivolse mai lo sguardo, acuendo i suoi occhi verso l'orizzonte e che tornava non mitighi solo all'uscita delle gallerie, quando tornava la luce, quasi in modo sequenziale.
Io non riuscivo a toglierle gli occhi di dosso. Non era bella, ma avevo qualcosa dentro di me, che non riusciva a staccarsi da quella visione, da quel modo di essere da quel modo di esporsi nella vita. Non mi ricordo a che stazione lei decise di scendere, ma io la seguii senza nessun indugio, incurante delle possibili destinazioni. Anche il suo modo di camminare era stupendo, nonostante il suo abbigliamento e il modo quasi goffo di porsi. Aveva un'andatura frizzante, appoggiando le gambe sui talloni e flettendo solo leggermente le ginocchia.
“Senti che vuoi? La smetti di seguirmi? Se vuoi che ti ringrazi, va bene, grazie. Adesso ciao. Smamma”.
Le sorrisi dolcemente e cercai di dire qualcosa e vale a dire la solita triste, quanto imbarazzante domanda provinciale:
“Posso offrirti un caffè?”
Infatti lei scoppiò in un’esilarante risata
“E tu la prima cosa che mi dici dopo tutto questo è … posso offrirti un caffè … senti lasciatelo dire sei davvero carino, ma mi sa che sia un tantino deficiente”.
Tornai ad assumere il mio atteggiamento da semplice osservatore e cercai di cadenzare e silenziare anche il mio respiro, facendo rumore solo con il battito delle palpebre degli occhi. Lei tornata seria, mi guardava con curiosità ed introspezione e dopo aver per l'ennesima volta passato le mano dietro alle orecchie, mi disse:
“Vada per questo caffè, ma ricordati paghi tu”.
La seguii con il mio solito modo goffo, così come un giovane orso si avvicina al miele e la razionalità che cercavo di mettere nei miei gesti, si scontrava con l’irruente desiderio di stabilire un contatto fisico. Ci sedemmo su uno di quei piccoli tavolini all'esterno di un bar e l'aria ancora frizzante del mattino, accentuava la freschezza delle sue parole. Mi parlò molto di lei. Mi disse che era in città per studiare o meglio era quello che faceva credere al padre, ma in realtà si era trasferita perché sentiva la necessità di vivere sola, soprattutto perché, da quando aveva perso la madre, i rapporti con l'altro genitore non erano tanto idilliaci. Logicamente i soldi non le bastavano e come tutti gli studenti universitari, faceva la cameriera in un locale e quando era a genio, si metteva con un tavolino per le strade del centro a fare dei ritratti, delle caricature. Non era brava a disegnare, ma quella sua sfrontatezza, quel suo modo energico, passionale, di affrontare la vita le permetteva di fare anche questo. Mi confido che non aveva amiche, perché innanzitutto le piaceva stare da sola e poi perché non credeva nell'amicizia tra donne, in quanto lo stringere un rapporto avrebbe inevitabilmente prodotto invidia, gelosia che era già tipicamente, secondo lei, una manifestazione tipicamente femminile.
Aveva provato ad avere un fidanzato ma di lui non gli piaceva nulla, se non come faceva sesso e poi la infastidiva quel suo modo di essere poco uomo, subendo qualsiasi tipo di compromesso, senza tentare almeno di discuterlo.
“Ma forse perché ti amava tanto?” Cercando di difendere la categoria, ma non quella degli uomini quella dei romantici. Ma lei si accese la sua ennesima sigaretta, mi buttò il fumo, miste a gocce di saliva sul volto e mi disse:
“Riprendi del bello! Nella vita si nasce soli si muore soli. Il resto sono solo illusioni”. Ed i suoi occhi scivolarono nella tazzina di caffè. Mi si stringe tantissimo il cuore a quell'affermazione, ma cercai di non essere invadente, lasciandola sola con i suoi pensieri.
Mi voltai verso la piazza dove la fontana era stata rimessa in funzione. Zampilli d'acqua cadevano come i suoi pensieri, facendo un tonfo sullo specchio d'acqua dell'incertezza, ed il rimosso che ne veniva fuori, creava opacità e non gli faceva intravedere la soluzione. Il troppo pensare, a volte, offusca la mente. Quando mi rigirai, lei si era alzata ed aveva già guadagnato qualche metro ed io le corsi dietro, come stavo facendo da qualche ora, senza dire parola. Ebbi un attimo di perplessità, dettato forse dalla mia solita ragionevolezza e quando finalmente giunsi nella sua ombra, ero quasi deciso a tornare indietro riprendere il treno della mia vita. Ma lei si voltò all'improvviso e mi coprì con il suo sguardo per la prima volta tollerante e con una frase tenue e precisa
“Ti piacerebbe venire con me a casa mia per pranzare insieme? A meno che tu non abbia da fare”.
Ed io per la prima volta tentai di essere simpatico:
“Ma guarda, stamattina ho perso il treno” sghignazzando quasi con consapevolezza “e quindi niente lavoro. Diciamo che oggi ho la giornata libera”. E per la prima volta sì arcuarono le sue piccole labbra.
Il suo appartamento era un unico ambiente non molto grande. Su di un lato c'era l'angolo cottura che era diviso dal lato soggiorno, da una piccola facciata in legno a ripiani vuoti, dove erano poste delle piccole piante. Al centro dell'ambiente un grosso tappeto di lana, con sopra un piccolo tavolino di vetro ricoperto di tante cose sparpagliate. C'erano delle foto, un posacenere nel quale si potevano contare almeno una ventina di mozziconi di sigarette, alcuni fogli messi lì, per prendere appunti, ma sui quali vi erano solo dei piccoli e ripetitivi disegni, del tabacco sparso qua e là ed una stecca d’incenso, incastrata in un buco, ricavato da un bicchiere di plastica capovolto, della quale era rimasta la scia di cenere sul vetro. Su di un lato un divano, che probabilmente diventava letto, una porta, che probabilmente portava al bagno ed un comodino, che sicuramente era in disordine in quanto dal cassetto traboccano degli indumenti. Sull'ultimo lato che rimaneva della stanza, una piccola finestra con una tendina bianca, ricavato da dello chiffon ed una libreria fatta con dei blocchi di cemento industriali forati, sui quali era stata spruzzata della vernice.
“Ti piace la mia libreria? Il difficile è stato portare fino a sopra i blocchi di cemento, per il resto ad una che è schizzata non è stato difficile, schizzare un po' di vernice. E poi il bello sai qual è? Che ti puoi arrampicare senza il pericolo che crolli tutto”.
E nel vederla inerpicarsi come una scimmietta tra quei blocchi, le intravidi tutta la schiena nuda da sotto la camicia. Lei balzo giù e sono certo, come in genere capita tutte le vere donne, che si rese conto del mio momentaneo piacere. Continuava a fissarmi, mentre con i piedi toglieva quei grossi scarponi. La sua altezza calò visibilmente, ma nel suo sguardo c'era sempre una luce austera. La camicia la tolse con un gesto rapido, i pantaloni li fece scivolare ai piedi sganciando soltanto un bottone, il tutto con molta naturalezza e spontaneità. Non aveva nessuno indumento intimo e su quel corpo, l'unica cosa che risaltava era quel pennacchio nero ed abbastanza folto che quasi ricopriva metà del basso ventre.
Facemmo l'amore per diverso tempo ed oltre all’immenso piacere che mi procurava, ricordo l'efferato trasporto che riusciva a darmi, con quel suo modo di fare da dominatrice. Voleva starmi sempre sopra ed era lei a decidere i tempi, i ritmi e soprattutto l'intensità. Da quel giorno presi coscienza che volevo starle vicino, sentivo la necessità di creare un mondo tutto nostro, uno spazio dove ritagliarci la nostra realtà. Lei, però, non era della mia stessa opinione
“Ma la smetti! Lo vuoi capire che abbiamo fatto del sesso. Il nostro è stato un incontro causale e casualmente ci siamo ritrovati a fare l'amore. E poi ti rendi conto di quanto siamo diversi: tu sei bello, intraprendente, con un ottimo lavoro, la tua vita. Io, invece, non ho niente è l'unica mia certezza, è il mio corpo sgraziato ed il mio modo di essere saccente, nell'affrontare le situazioni. Facciamo gli adulti. Quando vorrai comunque puoi chiamarmi e saremo un po' di tempo insieme”.
“Ma cosa me ne faccio del tuo poco tempo. Io voglio la tua vita, voglio darti la mia esistenza”.
Noi uomini non riusciamo quasi mai a capire certe situazioni e quasi sempre confondiamo quelli che sono i pensieri femminili, pretendendo, a volte, che la pensino come noi. Chi può capire cosa passa per davvero nella testa delle donne? Solo Dio può captare i loro pensieri che come sprazzi di cielo grigi, battuti da vento di libeccio lasciano un’ombra insinuante sulla terra razionale maschile.
Eppure io l'avevo baciata Alena e già dalla prima volta si era instaurata una confidenza quasi familiare, lasciandomi prendere dai suoi odori. Volevo interpretare il suo passato. Ecco volevo prevedere il suo passato. Ci affanniamo e ci distruggiamo la vita a pensare al nostro futuro a quelle che in realtà sono le nostre sensazioni trasmesse nel tempo, a quello che forse non succederà mai. Io volevo capire il suo passato, perché da esso volevo ricavare la parte di vita che più mi si addiceva. Pensavo che non fosse possibile sforzarmi a tentare di costruire un rapporto sull'immaginario volevo costruire un rapporto su qualcosa che già era stato anche se poco positivo
Girovagando per le strade dell’incertezza
a testa bassa e poca allegria,
alla ricerca di una tenera carezza
che alleviasse la mia malinconia.
Io pur distratto vidi il tuo cospetto,
dall’ombra cadente ma l’animo irrequieto,
e rivedendo nel tuo materno petto
il tuo stil novo, ma il mio corpo rimase cheto.
Quali e quante le passioni che volarono?
Dove e come giunsero da te?
Mi sento prigioniero della mia mano
che imita quello che non è.
Ma giunto finalmente fra le tue braccia,
liberandomi da inganni e da colpe
toccando velocemente la tua faccia
come il cacciatore insegue la volpe.
Ed io ti direi: “T’amo per ciò son desto e felice di baciarti e di illuminarmi.
T’amo, e vivendo felice del dolce, ma fragrante mio pensier, rinnego il mio passato e vivo per te.
T’amo e per questo potresti rendermi infelice e sofferente.
T’amo, ma se così facendo, tu illumini il tuo sguardo ad altro orizzonte…inspiro e muoio per te.
T’amo e tante parole si perdono tra i nostri sorrisi e non sguardi.
T’amo e dolcemente vorrei sentirmi raccontare il meraviglioso silenzio che porti per me.
T’amo e non dirmi più niente, mi basta il tuo respiro, immenso presente della mia mente”.
Passarono alcuni giorni e trascorremmo molto tempo insieme, ed anche se Alena era sempre più convinta a non voler nessuna relazione, continuava a raccontarmi quasi tutto del suo passato. Un rapporto poco felice con una sorella più piccola, un rapporto amoroso, da quando era adolescente con un ragazzo, del quale ogni piaceva quasi nulla, se non l’abitudine della sciocca quotidianità. Dentro di lei aveva lasciato un vuoto, ma non per quello che aveva dato al rapporto, bensì per quello che le aveva tolto, per quello che le aveva portato via. E poi quel vuoto lasciato dalla madre, quella condizione abietta della mancanza di un vero amore, quello grande, quello materno
Dovetti essere molto insistente, per convincere a trasferirmi da lei, per poterci finalmente completare:
“Tu mi piaci, siamo fatti l'uno per l'altro. Andiamo d'accordo quasi su tutto e dove abbiamo delle divergenze, siamo capaci di scendere a compromessi. Se questo non è amore, qual è il vero amore?”
“Tu pensi che le tenerezze, delle suggestioni, delle impressioni, delle agitazioni dettate dal dall’emotività, possono stabilire che due persone sono fatte per stare insieme una vita. Come posso decidere se una piccola pianta, un giorno possa essere davvero l’albero che mi darà i più graditi frutti?”
Era quella la metafora che più mi fece capire lo stato di Elena. Era come una pianta selvatica, in balia della natura e delle sue situazioni atmosferiche e che non riusciva ad inserire le sue radici in nessuno posto. Di tanto in tanto, un raggio di sole, una storia piacevole, un piccolo temporale, una storia sgradevole, un lieve venticello che dolcemente la trastullava, ma di squali incurante, non ne avvertiva neanche il rumore.
“Forse è difficile trovare una persona che possa davvero condividere tutte le cose di te, ma se non produciamo almeno le buone intenzioni, se non stabiliamo il nostro intento emozionale, come possiamo pretendere di essere compresi?”
“Comprensione! Sì hai detto bene, comprensione, ma devi stare attento perché forse l’hai confusa con la compassione. Inizialmente siamo sempre attratti da persone nuove, persone che ci sembrano quello che non sono e che sembrano poterci dare quello che avremmo sempre voluto. E poi? Poi il tempo partorisce l’insofferenza, madre genitrice del disinteresse, dell’individuale e della consapevolezza di essere divenuti avari di emozioni. Viviamo la nostra storia, anche io ne sono piacevolmente attratta, ma non illudiamoci, presto torneremo dal nostro viaggio e ci rinchiuderemo in quello che il nostro unico mondo, il nostro unico soggetto di riferimento. Quello pensante”.
Nel dire queste ultime parole i suoi occhi si inabissarono nel tormento frustrante del tedio. Seppi essere sempre presente e quasi sempre riuscivano a sconfiggere la sfrontatezza dell'essere maschilista. Sentivo la necessità di condividere con qualcuno i miei desideri, i miei sogni, i miei pensieri. Avevo molti amici con i quali riuscivo ad avere un bel rapporto e che nutrivano una grossa stima nei miei confronti. Nei piccoli centri provinciali, come il paese, bastava essere retti, non lasciarsi andare, per meritarsi la stima di tutti. Ma io mi ero sempre chiesto, cosa sarebbe stata la vita senza una donna? Una che al mattino ti guarda negli occhi, scrutandoti il cuore, che ti accarezza la testa tanto da creare un attrito con la tua anima, una che ti odora la tua pelle, lasciando che il respiro le invadi tutto il corpo, una che ti scaglia con violenza le sue debolezze, cercando di risolverle con il beneficio del dubbio. Una insomma che sappia per davvero, farti sentire diverso.
E vi assicuro che i primi mesi trascorsi con Alena, furono così.
Inevitabilmente però, arrivò il tempo in cui dovetti dedicarmi maggiormente al mio lavoro e tornai abulicamente a rituffarmi tra le mie carte, il mio mondo. Continuavo a vedere Alena, ma ormai i nostri incontri erano veloci, furtivi, a volte a pranzo, a volte a letto, quando ormai, a tarda notte rientravo e la trovavo dormendo. Quando dormiva, sembrava più piccola. Il suo volto era distesissimo, come quello di una persona svuotata di ogni pensiero, come se anche i suoi sogni avessero intrapreso, un lungo viaggio imperturbabile.
Ormai nello studio in cui collaboravo, cominciavo a guardare altre donne, ma non per il semplice fatto che ne ero attratto e che quindi poteva essere giustificabile, ma per il fatto che sentivo il bisogno del contatto umano, sentivo la necessità di calore, insomma il mio vero desiderio d’amore non era stato ancora soddisfatto.
Ecco che cosa ci succede. Se nella vita incontriamo una persona che ci piace e con la quale stiamo bene, se nella vita riusciamo a trovare quella persona che soddisfi il nostro desiderio d’amore, quale istinto che ci portiamo sin dalla nascita, allora non sentiremo mai il bisogno di ricercare queste stesse persone negli altri. Possibile che altri istinti, quale quello sessuale o qualche altro istinto perverso, baleni di tanto in tanto nella nostra mente, ma se veramente abbiamo trovato il soggetto che ci completa, difficilmente fuggiremo da lui.
Avrei voluto svegliarla in una di quelle notti e dirle che avevo sbagliato tutto, che il mio disagio emotivo, aumentava di giorno in giorno, ma non ci riuscivo proprio perché l’emozione che sostanzialmente mi legava a lei e cioè quella compassionevole, era ancora viva.
Decisi di prendere tre giorni di ferie, per passarli con lei, per capire quello che stesse succedendo e se era possibile che mi stavo sbagliando, ma l’ultima notte che avremmo trascorso insieme, Alena mi stupì così come quando l’avevo conosciuta. Io ero seduto sul divano a covare con gli occhi delle carte portatomi dall’ufficio forse per compagnia e lei dopo avermi fissato per qualche minuto, fingendo di pulire le sue piccole piante, sul divisorio in legno, mi disse:
“Posso farti leggere una cosa?”
Si arrampicò sulla sua personale libreria e dalla parte superiore, ben nascosta tra alcuni pupazzi, tirò fuori una scatola di latta, dalla quale estrasse tanti fogli piegati. Prima ne lesse qualcuno sottovoce e velocemente, poi trovata la lettera che cercava cominciò a leggere:
“Ci siamo visti anche questa sera, ed anche questa sera abbiamo fatto l’amore ed è stato bellissimo. Non so perché ancora insisto nel vederlo, pur sapendo che tra di noi non c’è amore, ma con lui mi sento bene. Mi dà sicurezza, mi trasmette tranquillità e forse potrebbe farmi felice, ma sento chiaramente che lui non potrebbe mai esserlo. Ammetto che mi dispiacerebbe perderlo, ma sarebbe da ipocriti, da stupidi e da immaturi continuare una relazione che non è nata come tale, cioè come una vera relazione, ma come una vera commiserazione dei sensi. Si è così. A lui faceva pena il mio distacco ed abbandono, quasi esasperato, quasi da sembrare pazza e di lui mi faceva pena quel suo modo retto, ma disorientato della vita che aveva. Spero soltanto di non ferirci troppo”.
Io rimasi immobile e lei si sedette al mio fianco, poggiando la sua testa sulle mie spalle e rimanendo, entrambi, risoluti, lasciando che l’ultimo palpito di sole, che entrava dalla finestra, riscaldasse quello stoicismo che si era creato.
Praticamente, aveva anticipato le mie emozioni ed aveva capito sin dall’inizio quello che io avevo solo capito più tardi.
Per alcuni giorni ci siamo sentiti telefonicamente, ed entrambi cercavamo di usare delle parole leggiadre, anche per sconfiggere il rimorso del malinteso, ma ben presto ci rendemmo conto che nella nostra mente le figure, le nostre parole e le emozioni generate, divenivano sempre più sbiadite.
Adesso non so che fine abbia fatto Alena. Una volta, di sfuggita seppi che era tornata nella sua piccola città. Abbandonando gli studi ed aprendo un negozio da acconciature per signore. Tante volte ebbi la tentazione di cercarla, di rivederla, di sentire quella voce squillante, come quando al mattino mi portava il caffè a letto e come una bambina in balia di una crisi di nervi, imitava il verso dell’elefante. O come quando, nel fare la doccia insieme, emulava violenti orgasmi, per farli sentire a tutto il vicinato o come quando ancora svegliandomi di notte la trovavo lì, con gli occhi sbarrati sul cuscino e mi gridava sempre, che pensavo solo a dormire.
Solo adesso riesco a capire, dopo tanti anni, che è stata una grossa stupidaggine, ma non per la situazione vissuta, per le esperienze fatte, che sicuramente mi hanno dato un grosso insegnamento, ma per il semplice fatto che ho vissuto, o meglio ho pensato di vivere, una cosa che non era tale. Se non era amore, non devo pensare da innamorato. Ricorderò Alena, come una situazione, come tante che ti capitano nella vita, ma non la ricorderò mai come un amore perduto, anche perché se hai la fortuna di trovare il vero amore, quello reciproco e leale, non lo perderai mai.
Cristian Liberti
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Cristian Liberti
