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CC.L.Amore (secondo episodio) PDF


Impervia è la strada della solitudine, anche se a volte ci presagisce degli orizzonti
inaspettati. Eccetto l’amore.


Era una bella coppia, come sciaguratamente si usa dire quando non si riesce a vedere oltre il superficiale di vita quotidiana. Non conosciamo noi stessi, come  possiamo pretendere di conoscere gli altri.
Francesca era bella, di una bellezza disarmante. I suoi occhi chiari e profondi come l'oceano in superficie, riflettevano la luce del sole che sviscerava fino al suo inconscio, illuminandogli ogni veduta. Aveva i capelli di un colore indescrivibile e che sembrava cambiassero a seconda l'intensità della luce e non si potevano definire né lisci, né mossi, ma creavano dei movimenti involontari, tali da sembrare dipinti. Zigomi alti e sporgenti, delineavano e marcavano il suo volto che scendeva tirato fino al mento, piccolo ed arrotondato e che risalta meravigliosa
bocca, dal color quasi vinaccia ed indiscutibilmente patente.


Il suo corpo era mingherlino, ma sicuramente particolare, in quanto erano evidenti tutte le sue forme, ed a vederla in costume da bagno, sembrava trovarsi di fronte ad una statua di marmo. Una lieve peluria bionda, ricopriva la sua pelle ed affascinava molto quel suo modo di essere donna tra le femmine, di essere presente nonostante le sue lontananze interne e di confondere gli sguardi lascivi di
uomini estivi, come delle semplici esternazioni materne, nell’uscire per la prima volta con un ragazzo.

 

Era là sdraiata sul lettino, a farsi massaggiare dalla brezza marina ed a cercare una totale assenza del suo corpo, per dimenticare e scrollarsi di dosso le fatiche universitarie, ma conservava piacevolmente quell'espressione accorata, che donava
al suo viso un fascino misterioso. Cianciavano e ridevano alcune amiche intorno a lei:
“Certo Carlo si è fidanzato con Maria, ma l'altra notte è stato visto allontanarsi sulla spiaggia con un'altra donna” e nel ridere quelle labbra brillavano di ipocrisia.
“Sì è vero. Comunque lei se lo meritava, la settimana scorsa era stata con il bagnino” e questa affermazione si fece anche sprezzante seguita da un'altra
alquanto saccente:
Come Barbara che non l’ho capita proprio. Si è fatta una storia con il barman”
“Però è carino”. Intervenne la più robusta del gruppo.

 

 

 

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Gli amanti – R. Magritte


Si alzò, quasi di scatto colei che era considerata la più bella. Colei che quando si muoveva lasciava inquieti tutti gli occhi nel raggio di un battito di palpebre:
"Cosa me ne faccio della bellezza di un barman, io ho bisogno di certezze: ad una donna come me non può mancare nulla”. E nel dire queste parole si allontanò verso il mare, trasmettendo una scia di infedeltà. E mentre andava via, tutti la guardavano con considerazione, quasi come se avesse detto una grande verità.


“Eh sì ha proprio ragione. Giustamente nella vita, le capacità e le possibilità che hai, ti propongono ad un livello sociale che non ti permettono di guardare indietro, anche perché se hai raggiunto certi obiettivi, tutto ciò che sta alle tue spalle ti sembra ininfluente per una tua crescita”. Esternò questa affermazione quasi con appagamento e poi aggiunse:
“E tu Francesca che pense?”
“Per me questi sono semplici giudizi, quasi delle fisime. Il superficiale, così come la rigidità, alberga nelle persone stupide, tendenzialmente anche false. Siamo sempre ad affannarci per trovare dei punti d'appoggio, dei picchetti, delle situazioni che forse inconsciamente riempiono quelle che sono delle nostre mancanze, delle nostre debolezze. Colmiamo la tenda nella nostra vita di nuove conoscenze, cioè diconfronti, che sono anche queste le cose che ci fanno crescere, ma non picchettiamola con i paletti dell'intransigenza. Poi può darsi che Lara abbia ragione, ma io quel ragazzo non lo conosco e quindi non posso esprimermi, neanche nella più piccola e semplice delle opinioni. E poi ritengo di non conoscere la vita in genere, figuriamoci se posso parlare della vita degli altri”


Inavvertitamente Francesca lo aveva difeso. Paolo era il barman del Lido ed era affascinante come un primo albore estivo, dopo un'intera notte di passione. Capelli lunghi e neri, fisico nerboruto quasi da sembrare sempre sotto sforzo, ma lui per la palestra non aveva avuto mai il tempo. Aveva gli occhi di un marrone intenso ed un taglio che gli donavo un'espressione affidabile e riflessiva. Infatti suoi clienti si fermavano da lui, più che altro, per scambiare
quattro chiacchiere con una persona che sapesse ascoltare e consigliare. Il colore della pelle olivastra evidenziava maggiormente i suoi lineamenti volitivi, ma che trasmettevano un senso di sicurezza. Era un ottimo interlocutore, ma nel momento in cui restava solo al bar, guardava sempre il mare, le sue linee e i suoi contorni che in lui sprigionavano, un senso di appartenenza.


Lei si sedette sulla punta dello sgabello e gli ordinò una cosa da bere. Furono poche le parole e gli sguardi che si indirizzarono, forse perché ognuno di loro era della consapevolezza che il parlare per far rumore, per accompagnarsi, era da persone semplice, anche perché è importante lasciar parlare i nostri corpi. e Paolo e Francesca lasciavano parlare i loro corpi per comunicare. La comunicazione verbale è importante per comunicare, confrontarsi e crescere, ma
loro avevano capito che in una persona andavano ascoltati i corpi. Dicono che una delle prime migliori psicoterapie sia il parlare, il dialogare, ma se analizziamo etimologicamente la parola forse qualche deduzione più spontanea ci verrà. Psiche in greco significa anima. Allora come possiamo pretendere di fare terapia, alla nostra anima, con delle parole.

 

Certo il confidarsi con qualcuno ci può aiutare, ma le vere sensazioni, le emozioni, quelle che possono per davvero aiutare la nostra
anima, non possono che nascere dalle visione, da dei gesti, da delle situazioni, che rimarranno sempre impresse nella nostra mente.
Questa era la discussione più gradevole che senti fare a quei giovani ragazzi, ed ero piacevolmente attratto ed anche un po' invidioso, di come fossero riusciti a sviluppare quella loro opinione. I loro incontri cominciavano a diventare più frequenti ed ormai Francesca, la sera aggiungeva Paolo al bar ed a fine serata passavano ore intere sulla spiaggia a guardare il paesaggio notturno marino: l'evidenza dello spumeggiare delle onde nel disteso e terso mare nero; l'alternanza delle luci sulle barche dei pescatori; le lunghe ombre di ragazzi intorno ai falò.


Io li vedevo spesso trattenersi sulla spiaggia, fino a quando con i primissimi alboricome la luna piena si diverte a fare con le tenebre, rincasavano nelle ombre della loro giornata. E mentre li vedevo andar via, lei con le mani conserte e con icapelli che le coprivano il viso a mirare la nascita del giorno, e lui con la testa bassa per la consapevolezza della notte andata. Mi sembrava di udire un dolce canto con il sottofondo del fragrante incresparsi delle onde mattutine.


Rivolgi a me i tuoi profondi occhi,
magnifiche porte del temerario,
capire del tuo destino quei quattro schiocchi,
come in un campo di grano andando all’incontrario.
Ma cosa tu ne sai del mio profilo,
si tesse a volte anche per mistero,
ho certo aggrovigliato così il mio filo
creandomi un destino al quanto becero.
Abbi pietà della mia insolente verità,
anche perché io vorrei capirti,
ma avrei bisogno della tua onestà
e non accontentarmi dei tuoi scarti.
Sappi che io voglio essere sempre razionale,
e soltanto vivendo di se stessi,
non ti procuri nessun atroce male
godendoti a pieno della vita i suoi successi.
Errabondo anche io per quel che è la ragione,
ma non so se questa è la mia realtà,
se mi sono calato in una prigione
non sapendo discernere il falso dalla verità.
Tutto ciò può sembrare ambiguo,
ma bisogna continuar nel nostro viaggio
essere sempre lo stesso individuo
e pagare alla vita due soldi di pedaggio.


La consapevolezza di non poter mai essere noi stessi e quella di non riuscire mai a dare il meglio di noi stessi, questi sono il pedaggio che paghiamo
alla vita, che si presenta nelle sue manifestazioni sempre in modo inaspettato, improvviso, come una tromba d'aria estiva e dopo che ti ho sconvolto, o
affascinato, non ti resta che mirar gli effetti. Erano dei ragazzi intelligenti e profondi ed avrebbero potuto affrontare qualsiasi
situazione, ma non quella di dividere la propria vita con un altro, di scindere l’essere personale, dall'essere comune. Tra l'altro sembrava che vivessero con dei crucci, dei sensi di colpa nei confronti di questa situazione e che quindi gli trasmetteva un senso di vita inquieta.
Ricordo con piacere una loro discussione solitamente consumata davanti al bancone del bar.


“Forse non mi sono spiegata bene Paolo. Per me tu sei un ragazzo fantastico e ritengo che hai tutte le qualità per rendere soddisfatta qualsiasi persona, ma io non ci credo nei rapporti di coppia, perché è inevitabile che con un'altra persona non
sarai mai del tutto sincero, perché terrai sempre nascosto dentro di te qualcosa che non saprà mai nessuno, anche se un pensiero infinitamente piccolo”.
Paolo la rispondeva sempre con deferenza:
“Ho capito ma questo che vuol dire? Io ritengo che sia giusto portare dentro di sé il ricordo di un'emozione diversa, lo strascico di un pentimento, il suffragio di una gioia immensa, vissuti solo con se stessi, ma questo non vuol dire che non poter avere nessun tipo di relazione. Anche io non è che ci creda molto, ma non bisogna essere prevenuti”.
“Non sono prevenuta e che ritengo che i pensieri felici sono troppo brevi, anche se intensi, per una come me”.


Paolo le verso del succo d'arancia misto a spumante ed il perlage che ne venne fuori rassomigliava al loro stato d animo: l’ appannato inammissibile della
nostalgia, misto al chiarore e al fluire della logica.
Poi esponendosi sul balcone e carezzandole i capelli le disse:
“Hai presente le scale mobili?”
“Certo che le ho presente, ma che c'entra?”
Tornò nella sua posizione eretta da barman professionista:
“Se sali sulle scale mobili e fissi la cima, il percorso seppure piacevole, ti sembrerà breve e sarà bellissimo godersi quei pochi attimi del muoversi stando immobili. Ma se provi ad abbassare la testa, già ti sembrerà un tantino più lungo in quanto avvolta nel fascino del mistero e nel vedere l'ultimo scalino divenire piatto, ti sembrerà di essertele godute fino in fondo. Così sono le emozioni Francesca. Bisogna viverle senza pensare a quando diverranno piatte, bisogna viverle per quelle che sono in quel determinato momento e quando finiranno, intraprendere il
nostro cammino”.


Lei sorseggiò dal flute, tracannando dolcemente e lentamente e poi tenendo il bicchiere all'altezza della bocca, rispose:
“Sì ma la vita non è fatta solo di scale mobili”.
“Appunto, bisogna sempre proseguire per il nostro lungo cammino, ma se ci capitano delle scale mobili, non dobbiamo disdegnare di prenderle e dobbiamo
viverle nel miglior modo possibile”.
Bevve tutto d'un fiato quello che era rimasto nel bicchiere e volgendo il suo pensiero al suo azimut emotivo proferì quelle poche, ma significative parole:
“Eppure tu mi piaci”.
Paolo si fermò a guardare le sue mani ferme, immobili come non lo erano mai state e che facevano leva sul bancone. Poi tirando su lo sguardo, le chiese:
“Posso farti una domanda indiscreta?”
“Penso che tra di noi non ci sia discrezione. Io con te mi sento nuda”.
Venne fuori dalla parte posteriore del bar in modo molto calmo, si sedette anche lui
su di uno sgabello, molto vicino a lei è quasi le sussurrò:
“Sei mai stata fidanzata?”
I suoi occhi si velarono di stupore, con delle sfumature di paura e senza scendere
troppo nei particolari gli rispose:
“Era un carissimo ragazzo, ed anche se a modo suo, mi amava tanto mettendo
spesso la mia vita davanti alla sua. Per un certo periodo con lui sono stata bene.
Non ti nego che ho pensato anche ad una vita in comune, ma poi sarà stata l'età,
sarà stata la consapevolezza di esserci fidanzati troppo giovani, sarà stata
un'intolleranza su certe situazioni, che ho scoperto che stavo meglio da sola”.
Strinse in un angolo di nostalgia.
“E’ successo la stessa cosa anche a me. Io potevo chiederle di tutto, ma l'unica
cosa che volevo ad un certo punto e cioè stare da solo, lei non poteva darmelo”.
Francesca quasi si tranquillizzò con quelle parole di Paolo, ma non riusciva a capire
se erano state pronunciate per assecondarla, o perché veramente gli era capitato.
Stettero qualche secondo a guardare gli uni le mani degli altri. Poi lui,
mentre riempiva nuovamente bicchieri, si mise a sorridere quasi con dileggio:
“Perché?” Chiese lei quasi sconcertata.
“Ti rendi conto Francesca, io e te la pensiamo allo stesso modo, però
inevitabilmente non potremmo mai stare insieme. Siamo troppo simili”.
Poi tornò serio e quasi con distrazione, le chiese:
“Tu ci credi nel destino?”
Lei risponde con immediatezza:
“Certo che ci credo”.
“Quindi secondo te il destino esiste?”
“Noi esistiamo grazie a lui”.
“Allora se ci credi, se è qualcosa che esiste, sai darmi una spiegazione, o che ne so,
una definizione?”
Lei rimase per un momento basita e cercando di recuperare qualche termine disse:
“Il destino è qualcosa che è già scritto”.
“Questa è una bella definizione empirica, ma qualcosa di più concreto?”
Lei alzò leggermente gli occhi e provò a dargli una risposta quasi razionale:
“Il destino è come una strada asfaltata da qualcuno per noi e noi dobbiamo solo
prenderci la briga di percorrerla tutta, evitando le buche”.
Sfregò uno straccio fra le sue mani, per asciugarsele e forse per tentare di
stropicciare anche quel minimo attimo di imbarazzo che si era creato:
“Il destino è una riprovevole ammissione di quello che non siamo stati
capaci di fare”.
Quell'incontro incrinò verso il distacco
Che rabbia da quel giorno vederli comportarsi come due conoscenti, alienati,
rimossi dalle emozioni che erano state e dove le uniche cose intime che
arrestavano, erano loro sguardi e che tristezza sentire i commenti di coloro che
ironicamente li considerava una bella coppia. Ero stato spettatore, mio malgrado, di
un’ipotetica relazione, intrappolata in un triste passato, ormai sprezzato, ma
mai rinnegato. Avevo visto consumare un’ipotetica passione dall’avversione della
realtà, che aveva diviso un unico destino. È gravoso per la nostra anima assistere,
senza poter fare nulla, a certe situazioni, ma è ancor più gravoso quando certe
tristezze passano senza lasciare un segno per l'esito vitale. Mai vivere nel ricordo di
cose tristi, ma lasciarle passare, trattenendo solo l'imprescindibile dell'esperienza.
Molti anni più tardi, quando ormai ero sulle soglie dell'incerto, ed il mio corpo era
più cadente del mio spirito, tornai in quei luoghi, dopo una lunga assenza, per
cercare di rivivere quelle emozioni o per tentare forse di rivedere quello che nella
vita è lo spettacolo più bello che la natura possa offrire: il corteggiamento
tra due innamorati
Molte cose erano rimaste uguali. Alcune erano cambiate, ma mi resi conto che di
quel luogo non avevo grossi ricordi se non quelli che mi avevano trasmesso quei
due ragazzi. Forse per l'età forse per il plagio subito da quella storia piena, ma
irresoluta, che spesso mi capitava di confondere qualche giovane viso con quelli di
Paolo e Francesca, sentendo addirittura le loro voci.
Era bello alzarsi al mattino, di buonora e vederli rincasare con quella loro
temperanza, con quel modo corretto, quanto a mio parere insulso, di non invadere
le emozioni dell'altro e senza coinvolgere nessun interesse. Due vite
perfettamente parallele e che come tali non si incontreranno mai. E questa
cosa mi incuteva molto rancore, che oggi seduto sulla panchina di questo parco, è
divenuta rabbia quasi ferocia.
Si è perfettamente sulla stessa lunghezza d'onda, si ha la fortuna di vedere molte
cose allo stesso modo e si ha la voglia di trasmettere quello che è il vero bene,
allora non capisco perché si debba trovare per forza un problema, un qualcosa che
non vada. I problemi vanno affrontati quando ci sono e non ipotizzarli e
stare lì a dannarsi per tentare di trovare la soluzione. Potevate essere felici, vivere
dei vostri respiri, completarvi di quei vuoti fanatici, appunto tali per la vostra
ragionevolezza, che ci portiamo dentro sin dalla nascita, ed invece avete lasciato
vinte le emozioni, così come spesso fanno gli animali.
No, non vi porterò mai rancore perché, comunque, del vostro quasi amore io mi
sono nutrito e forse della vera essenza delle vostre trepidazione, ne ho fatto
una stabilità per il proseguo della mia vita.
“Signore si sente bene?”
“bene? Non lo so … non so più niente ormai … è tutto finito”.
“Oh Dio, presto chiamate un'ambulanza”.
E le ultime sirene che sentiva gli ricordavano il dolce canto.
Cristian Liberti

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