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L'Orlando inquieto

 

Probabilmente mi chiamavano il furioso
per il mio modo di vivere veemente
perché il cuor mio batteva come un maroso,
ma io cavaliere, volevo solo un mondo aulante.
Sin da bambino sprofondavo negli orizzonti
lasciandomi alle spalle il mio riflesso,
volevo cavalcare il vento, oltre i monti,
ma mi sentivo come un accento circonflesso.
Allora decisi di indossare l’armatura
specializzarmi nell’arte dei fendenti
e la mia corazza non era assai più dura
di quello che sentivo e si assodavano i sentimenti.
E sempre più profondi i miei ribelli colpi
soprattutto per quelli proclamati reggenti
con i miei affondi lambivo il cielo oltre le alpi
e i sostantivi ed i verbi sempre più ruggenti.
Con il tempo conquistai coraggio e stima
e la mia scia ebbe un durevole consenso
la mia arma nera diventava acerrima
ed in molti temevano il mio dissenso.
Accecato da questo senso di distacco
persi completamente la visione,
la mia azione era sempre l’attacco
ed il mio sangue, caldo di ribellione.
E quando il riguardo non c’era più per nessuno
apparve alla mia corte quella fanciulla
il battito del mio cuore risultava invano
e senza lei, l’anima aveva il peso del nulla.
Divenne, unicamente, il mio pensiero
e avrei distrutto in successione il mondo,
solo di questo amore ormai ero fiero:
il suo respiro era il mio comando.
Ma ella mi sfuggiva sempre all’ultimo istante
lasciando nell’aria solo la sua fragranza,
io la rincorrevo, ma ella era più distante
come in una buffa e strana danza.
Angelica, Rinaldo, Ruggiero e Medoro
cominciarono ad essere la mia ossessione
ed anche se le mie gesta erano coperte d’oro
io persi lentamente la ragione.
E allora cominciai a confondere il sogno alla logica
e perdevo il perimetro del tangibile
smarrii il defluire della cronologia
respingendo tutto ciò che era ammissibile
Accecato nuovamente da quel senso
rafforzato dal dolore del non piacere
io mi racchiusi in un male intenso
e sentivo il bisogno di giacere.
Ormai inadatto per le genti
ero etichettato come il bisognoso matto
mi sentivo come la congiunzione altrimenti
che unisce il vago all’astratto.
Poi l’altruismo di un Astolfo qualunque
permise di recuperare il mio senno
il mio verbo nuovamente nacque
sulla mia pagina, più nessun tentenno.
E cominciarono di nuovo le mie imprese
per me che ero l’incompiuto paladino,
ma le mie emozioni restarono incomprese
e tornai a guardare gli orizzonti, come da bambino.
Ora le mie fatiche sono nella testa di tutti,
ma io vago in eterno alla ricerca di quello sguardo
i miei sogni non torneranno, sono distrutti:
non volevo l’affascinante gloria, ma quell’amore beffardo.

Unknown Track - Unknown Artist
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